La scalinata sul mare
Venendo a Brindisi con l’aereo, se si sorvola da sud, in fase di atterraggio sembra che ci si avvicini, planando, al porto sormontato dal Castello Aragonese, dal monumento al marinaio e dalla candida colonna che si staglia su una bianca scalinata che discende verso il mare, a mo’ di faro che indica la meta, il facile approdo per le navi.
Questo squarcio lascia incantati tutti i turisti, sempre intenti a fotografarlo, ma anche i brindisini stessi nella loro promenade lungo il lungomare.
La scalinata, realizzata con la pietra di Trani, arricchita con fioriere, piante e lampioni a forma di candelabro, rappresenta la location adatta per importanti manifestazioni culturali, eventi religiosi, di intrattenimento, come sfilate di moda, mostre di pittura, presentazioni di libri e di eventi sportivi della città.
Intitolata al sommo poeta latino Publio Virgilio Marone che proprio in un’abitazione sul lato della piazzetta, soggiornò e morì nel 19 a.C., come testimoniato dall’epigrafe commemorativa leggibile sulla relativa parete, si trova precisamente in asse con lo stretto canale Pigonati che collega il porto interno con il mare Adriatico.
Inizialmente la gradinata, realizzata nel 1861, dopo l’unificazione d’Italia, risultava soffocata da fatiscenti casupole adiacenti, pertanto fu deciso l’ampliamento nel 1928, su decisione di Mussolini, per dare maggiore risalto alle antiche colonne, terminali della Via Appia, così definite nei tempi dell’antica Roma, alla quale il Duce si ispirava.
Le colonne, che inizialmente erano due, furono innalzate probabilmente in funzione della celebrazione per il ritorno da una spedizione militare o per la partenza verso un’impresa via mare o per inneggiare una coppia di principi vittoriosi.
Nel 1528 in seguito ad un cedimento statico crollò una delle due colonne, di cui oggi resta il basamento con un rocchio sovrastante. I rocchi crollati rimasero per più di un secolo abbandonati, finché furono regalati da Brindisi nel 1657 alla città di Lecce, perché sostenesse la statua di Sant’Oronzo, venerato come protettore dalla peste, flagello verificatosi in quegli anni in tutta Terra d’Otranto, di cui facevano parte entrambi i centri urbani.
La colonna superstite venne smontata durante il II conflitto mondiale per evitare danni provocati dai bombardamenti e poi rimontata; tra il 1996 e il 2002 fu interamente restaurata.
Alta 18,74 metri con una base di 4,44 m, un totale degli otto rocchi di 11,45 m, e un capitello di 1,85 m sovrasta degnamente l’ingresso in città da mare. Ed è proprio in questa prospettiva che la colonna voleva essere ben augurante per la partenza o il rientro via mare di una spedizione militare.
Il capitello, infatti, raffigura quattro divinità marine maschili e femminili alternate: Nettuno (rivolto verso il mare), al quale si contrappone Giove, quindi sugli altri due lati si ipotizzano le figure di Giunone e Intride (o forse Marte e Minerva o Anfitrite e Teti). Le altre otto figure agli angoli tra foglie di acanto sono dei Tritoni che suonano con strumenti ricavati da conchiglie marine.
Il capitello originario si trova custodito nel palazzo Granafei Nervegna.
Sulla base della colonna caduta si legge appena una dedica fatta a nome del senato e del popolo romano con ringraziamento a Giove, invece su quella superstite un’iscrizione latina risalente al Medio Evo, in cui si ricorda la ricostruzione della città nel IX secolo ad opera del bizantino Lupo Protospata.
Secondo un’ipotesi furono erette da Brento, figlio di Ercole, che, fondatore di Brundisium, avrebbe modellato il porto riproducendo se stesso, secondo una versione che riporta una origine mitica.
Secondo un’altra, fu probabilmente l’imperatore Traiano a farle erigere nel 110 d.C., per celebrare la costruzione della variante del tratto della via Appia che da Benevento conduceva a Brindisi.
Attualmente, il percorso stradario è stato candidato quale patrimonio culturale dell’Unesco, pertanto la città si sente orgogliosa, sia pur tra miti, santi e divinità, di essere apprezzata a livello mondiale.